Emily
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LA FIDUCIA

L’uomo è un animale sociale. In quanto tale, ha un’innata predisposizione ai meccanismi psicologici, i quali intervengono al fine di instaurare e strutturare rapporti sociali. Uno di questi è proprio la fiducia. Fin dalla nascita, l’individuo è inserito in una fitta rete di relazioni sociali, che giocheranno, poi, un ruolo fondamentale nel suo sviluppo, nel suo adattamento, nel suo benessere (o, al contrario, malessere).

Già da bambini si sperimenta questo grande fattore individuale e sociale quale la fiducia. E direi che prima dell’acquisizione della fiducia in sé, si manifesti quella verso gli altri. Sì perché le prime persone con cui veniamo a contatto sono proprio i nostri genitori, la nostra famiglia e, in base all’aura familiare in cui viviamo, inglobiamo in noi determinati valori. Questo accade perché, soprattutto durante l’infanzia, siamo attenti osservatori e perfetti imitatori dei comportamenti degli adulti.

Se, infatti, i genitori sono in possesso di qualità come la sensibilità, la disponibilità, la sincerità, la collaborazione, la solidarietà, facilmente il bambino svilupperà le stesse caratteristiche ed avrà più possibilità di creare rapporti forti, basati sulla reciproca fiducia.

Al contrario, un clima di perenne tensione, di separazione, di maltrattamenti, di assenza di affetto  e privo di stimoli, contribuirà alla formazione di un individuo spesso diseducato, disorientato nella vita sociale ed incapace di costruire rapporti solidi, duraturi e di valore.

L’esperienza della scuola dell’infanzia, inoltre, svolge una funzione molto importante: concorre alla formazione e allo sviluppo della fiducia stessa. È proprio qui che il bambino sperimenta, per la prima volta, le sue capacità. Viene messo di fronte a piccoli (diremo noi) ma enormi ostacoli che, una volta superati, aprono le porte all’acquisizione della coscienza si sé. Questa, a sua volta, permette il raggiungimento della fiducia in sé e delle proprie potenzialità.

Questo percorso, in continua evoluzione, non sempre soddisfa le nostre aspettative: oggi, ad esempio, stiamo assistendo ad una vera e propria crisi di fiducia a livello sociale e famigliare. E ce lo dice anche il dottor Lucio Altin, il quale introduce  la sua analisi con una riflessione sul detto: “Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio”.

Prima di tutto, è necessario comprendere come ciò che caratterizza la fiducia e la sfiducia sia il grado di rischio che comportano.

La vita stessa implica una certa disponibilità a mettersi in gioco e rischiare. È il primo passo da compiere. Se non digeriamo dal principio questo concetto, possiamo cadere nell’errore e nella follia di costruire come un muro protettivo attorno a noi, che ci difenda da questi (sani) pericoli. Ciò, però, comporta anche l’estraniamento dalla nostra stessa vita, che ci destina a rapporti inautentici e, nel peggiore dei casi, alla manifestazione di psicopatologie.

La cleptomania è una di queste. Con un esempio: una famiglia spoglia di fiducia, timorosa e spaventata all’idea che i serrati spazi individuali possano essere invasi dagli stessi componenti; una casa interamente “sigillata” (porte, cassetti, armadietti..) come perennemente in allerta… Sara è cresciuta qui, ed oggi è cleptomane. Non riesce più a controllare l’impulso a compiere un atto vietato, quale quello di rubare. Lei non ruba per avere l’oggetto, lei lo fa per rivendicare quella libertà che a casa non ha mai avuto. L’aria che, in quella famiglia, ha respirato ha innescato in lei un meccanismo per il quale si sente perennemente colpevole. Sempre sotto rigido controllo dei suoi genitori. È tutta questione di fiducia.

Altri esempi di manifestazioni di questo genere possono essere l’agorafobia, la claustrofobia, i disturbi del comportamento alimentare….

Le reazioni nell’ambito della mancata fiducia nei propri confronti possono, dunque, assumere variegate forme. Queste dipendono dalla componente genetica (ovvero ciò che riguarda la predisposizione , il sistema nervoso ed ormonale, l’orientamento di base..) e dall’ambiente famigliare, il quale tende ad orientare l’individuo, il bambino, in una direzione o nell’altra attraverso i cosiddetti “rinforzi” (premi o punizioni).

La terapia, come già detto, inizia proprio dall’accettazione dell’esistenza del rischio; altrimenti non si vive più, ci si ammala emotivamente di paura. Possiamo assaporarlo sulla nostra pelle: è automatico che, se non ci fidiamo, abbiamo paura. Paura anche di amare: amore e fiducia, infatti, implicano entrambe, e necessariamente, dei rischi.

Fiducia e sfiducia, essendo caratterizzate da diversi gradi di rischio, ci offrono una nuova chiave di lettura della vita. Secondo lo stesso Altin, infatti, questa sta nella gradualità. È necessario, a questo punto, revisionare il suddetto modo di dire, modificandolo in “Fidarsi è bene, ma essere prudenti è meglio”.

Fidarsi ciecamente, si sa, non è un bene. Non fidarsi affatto porta all’esclusione dalla propria vita. Ma se, invece, impariamo ad utilizzare la fiducia come strumento di vita, dosandola a dovere, riusciremo anche ad amare: noi stessi e gli altri.